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Biologico:  prodotti orticoli più  tracciati, grazie ad INNOVABIO 

Sviluppare un sistema di analisi integrato in grado di distinguere e di tracciare oggettivamente, a partire da dati e parametri chimici, i prodotti convenzionali, ottenuti cioè con fertilizzanti di sintesi, e quelli biologici, realizzati cioè con l’utilizzo di concimi organici ammessi e con l’applicazione di tecniche per la gestione della fertilità del suolo (rotazioni, introduzione di colture leguminose). Questo è l’obiettivo del progetto INNOVABIO, coordinato dal CREA, che presenta domani al SANA i suoi risultati in occasione del convegno “Applicazione di metodi innovativi per la rintracciabilità dei prodotti dell’agricoltura biologica: il progetto INNOVABIO”.

Il contesto. L’autenticità e la tracciabilità dei prodotti biologici, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e con il Green Deal europeo di aumentare al 25% la percentuale di aziende agricole biologiche entro il 2030, rappresenta una questione centrale, soprattutto perché nei regolamenti europei manca un riferimento alla tracciabilità oggettiva, basata cioè su dati scientificamente raccolti. A questo, si aggiunge la crescente attenzione dei consumatori verso il bio non solo certificato, ma tracciato  in modo affidabile.

Il progetto. I ricercatori del CREA hanno messo a punto un sistema di analisi integrato, basato sull’individuazione di nuovi marker per distinguere se le produzioni biologiche certificate siano state ottenute con l’impiego di concimi organici azotati, ammessi dal metodo biologico, oppure con l’impiego di concimi azotati di sintesi. Le colture studiate sono rappresentative dell’orticoltura italiana: pomodoro datterino in serra, finocchio e cavolfiore in pieno campo.

La sperimentazione – effettuata per due anni nei dispositivi sperimentali di lungo termine – appositamente realizzati presso la Sede CREA di Monsampolo per la prova del cavolfiore e presso la sede CREA di Metaponto per la prova del finocchio  e in un’azienda commerciale siciliana, la Cooperativa agricola Piano Stella, che ha ospitato la prova relativa al pomodoro datterino –  ha dimostrato che le differenti pratiche di fertilizzazione tra il metodo biologico e quello convenzionale influenzano la composizione chimica di alcuni elementi presenti nei frutti e nei vegetali. In particolare l’azoto ha una differente distribuzione degli isotopi (atomi che possiedono nel loro nucleo lo stesso numero di protoni, ma un diverso numero di neutroni) nei fertilizzanti biologici o convenzionali, che si ritrova anche nei prodotti raccolti, rappresentando, pertanto, un marker per discriminare il metodo di coltivazione. Al tempo stesso, però,  esso può  essere influenzato anche da alcune pratiche colturali impiegate nei metodi di coltivazione biologico e convenzionale (uso del sovescio, applicazione di fertilizzanti organici nella pratica convenzionale o viceversa), per cui la determinazione di tale parametro, da sola, può non essere sufficiente per un’affidabile discriminazione tra produzioni biologiche e non.

Il Progetto, della durata di quattro anni e mezzo, è stato coordinato dal CREA – Olivicoltura Frutticoltura e Agrumicoltura (sede di Acireale)  e vede la partecipazione del CREA – Orticoltura e Florovivaismo (sede di Monsampolo del Tronto), del CREA – Agricoltura e Ambiente (sedi di Roma e Bari), Fondazione Edmund Mach e FederBio.

«I risultati del progetto INNOVABIO – commenta la ricercatrice del CREA Simona Fabroni, responsabile del progetto INNOVABIO – hanno permesso di dimostrare che un modello integrato di analisi multivariata, che includa il rapporto isotopico  dell’azoto con altri parametri di qualità (fisico-chimici, nutrizionali, nutraceutici), può contribuire ad una distinzione affidabile tra prodotti organici e convenzionali».

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